Gli Smeraldi e lo Zaffiro

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  1. Cerchi di Fuoco
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    "Se fuggire fosse una soluzione, io sarei fuggito da te già da tanto tempo"

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    Capitolo 4°: Il sipario strappato


    WWJR4ql



    New York,
    15 aprile 1919


    Quel diletto che prova la balda gioventù
    quando l’Aprile, tutto nuovo fiammante,
    incalza alle calcagna l’inverno zoppo.*




    La primavera accendeva Central Park di mille colori e spandeva nell’aria la sua inconfondibile fragranza che sapeva di rinnovamento.
    Sebbene molti ritenessero che la stagione più bella per New York fosse l’autunno, quando la vegetazione dei mille parchi della città si accendeva di tutte le tonalità di rosso, oro e calde sfumature di marrone, Candy preferiva di gran lunga quel tripudio di verde in tutte le sue varianti: dal verde acqua del laghetto popolato di barche a remi, al verde smeraldo dei prati e delle aiuole spezzato dalle gemme variopinte di minuscoli boccioli di ogni colore; dal riflesso vellutato del muschio sui tronchi degli alberi, al verde intenso degli arbusti di mirto che fiorivano ai lati dei viali affollati di newyorkesi, a loro volta eccitati per quella clamorosa rinascita.
    E i colori dei fiori! I prati, le gemme sugli alberi, le infiorescenze su ogni arbusto… Sembrava che ogni frammento di natura facesse a gara per mostrarsi nella sua veste più nuova e fresca, come una fanciulla che, stanca di coprire le proprie grazie sotto pesanti cappotti e mantelli invernali, non vedesse l’ora di sfoggiare con tutta la sua vanità i tessuti più leggeri e le tinte più accese, in una celebrazione della rinascita che ancora una volta manifestava il suo miracolo.
    Anche gli stormi di uccelli, tornati a compiere le proprie sinuose evoluzioni nel cielo più azzurro che si potesse immaginare, sembravano prender parte ad una festa della quale la città e i suoi abitanti si sentivano a buon diritto gli invitati d’onore, lieti e orgogliosi di godere di tanta magnificenza. Era la prima primavera dopo la fine della guerra.
    A Candy Central Park ricordava la Collina di Pony in quello stesso periodo dell’anno, con l’unica differenza che a scorazzare per i verdi declivi erano dei vispi e curiosi scoiattoli e non i familiari leprotti che scorazzavano per i vellutati pendii dell’Indiana.
    Alzando gli occhi, che aggiungevano un’ulteriore (e di per se stessa unica) sfumatura di verde a quel paesaggio incantato, Candy assaporò il momento: una leggera e piacevole brezza muoveva le foglie e le accarezzava la pelle, riscaldata dal piacevole tepore di un sole ogni giorno più caldo.
    Per fortuna, pensò, era primavera inoltrata. Era già stato così difficile… non avrebbe potuto sopportare di ritrovarsi in una New York innevata…

    ______________________________



    Washington D.C.
    20 marzo 1919


    Erano passate circa due settimane dal ricevimento del Segretario di Stato e Candy e Albert stavano cenando nella gradevole intimità del loro appartamento, chiacchierando del più e del meno. Candy aveva raccontato ad Albert del piccolo Bobby, un bambino di circa 9 anni condotto quel pomeriggio dalla sorella maggiore appena tredicenne, Lucy, in fin di vita alla Community of Hope. Bobby era malato di una forma molto grave di influenza “spagnola”, la stessa malattia che ancora imperversava in tutti gli Stati Uniti e che aveva portato via con sé la zia Elroy solo pochi mesi prima. Entrambi i genitori di quei due piccoli sfortunati erano morti da tempo. Il padre in un incidente sul lavoro nel deposito merci in cui lavorava come facchino: era rimasto schiacciato da un collo che si era staccato dalla gru che lo stava caricando, precipitando da un centinaio di metri d’altezza proprio su di lui. La madre invece era deceduta di parto, mettendo al mondo il quinto figlio. I tre figli più piccoli erano stati quindi affidati ai servizi sociali e destinati a un triste orfanotrofio in periferia, mentre Bobby e Lucy erano stati presi in casa di una delle zie appartenenti al loro esteso clan irlandese e mandati a lavorare per contribuire alle spese familiari: lei come lavandaia e il piccolo come fattorino.
    - Ha solo nove anni! Non riesco a credere che esistano tali miserie al mondo, Bert. Il fatto di essere un’orfana non mi ha mai fatto vivere la sensazione di miseria e abbandono che questi bambini vivono nelle grandi città. Anche prima di venire adottata da te, la mia infanzia in orfanotrofio è stata molto più felice e ricca d’affetto di quanto questi bambini potranno mai anche solo immaginare.
    - Sì… purtroppo le nostre città sono piene di una miseria così lontana da noi… Il rischio è quello di chiuderci nei nostri castelli dorati e di non considerare ciò che avviene al di fuori del nostro mondo ristretto. Anzi, addirittura ignorarne l’esistenza.
    - È proprio così, Bert! Se fossi rimasta alla casa di Pony e alla clinica del dottor Martin non avrei potuto dare il contributo che sento di dare qui a Washington. E anche tu, ti prego, cerca di fare tutto ciò che è in tuo potere per sensibilizzare quei parrucconi del Congresso a fare qualcosa!
    Candy aveva le guance arrossate dall’enfasi che accendeva le sue parole e gli occhi lucidi di commozione al pensiero del destino dei piccoli Lucy e Bobby…. e delle migliaia di orfani ancora più in difficoltà in giro per le strade di Washington, e non solo.
    Albert la guardava con uno sguardo colmo di affetto e compassione.
    “Candy, non imparerai mai a non vivere sulla tua pelle le sofferenze degli altri. È così bello e così struggente allo stesso tempo. È la tua benedizione e la tua condanna”.
    - Candy, la mia collaborazione con il governo è su tutt’altro fronte. Io ho svariati progetti che alla fin fine mirano proprio a migliorare le condizioni dei lavoratori, ma prevenendone l’indigenza. Chi invece sta facendo un gran lavoro in collaborazione con la Croce Rossa per gli orfani e i feriti di guerra e del lavoro, i bambini lavoratori e le persone di colore discriminate è Mrs. Roosevelt, con le sue associazioni.
    - Oh, Bert, che donna eccezionale! – esclamò Candy posando con veemenza il cucchiaio accanto al piatto di zuppa di pollo non ancora terminata, di colpo totalmente disinteressata alla cena, e accesa invece come una miccia nel parlare di colei che in poco tempo era diventata la sua eroina.
    Dal giorno della loro presentazione alla festa dei Lansing, Candy aveva avuto modo, tramite Patty, di incontrare diverse altre volte Mrs. Roosevelt, per un tè presso la loro residenza o a qualche conferenza di una delle associazioni benefiche delle quali era presidentessa e oratrice. Una volta, suscitando la più grande ilarità in Albert, aveva addirittura partecipato a una manifestazione della Women’s Trade Union League, una delle associazioni cui Eleanor Roosevelt era più vicina e che promuoveva campagne in favore dell’abolizione del lavoro minorile e del miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne ma che, nella fattispecie della conferenza cui Candy aveva partecipato, propagandava fortemente il suffragio femminile.

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    Pur non essendo particolarmente interessata agli aspetti politici della questione, Candy era rientrata in casa debitamente guarnita da una fascia viola, simbolo della battaglia delle suffragette, cosa per la quale Albert e Patty avevano riso non poco, prendendola oltremodo in giro per le facinorose attitudini rivoluzionarie che Mrs. Roosevelt stava, a loro dire, risvegliando nella fino ad allora puritana e conservatrice fanciulla dell’Indiana. In realtà, era la grande passione di quella carismatica donna, nonché l’instancabile tensione verso i suoi poliedrici ideali, ad aver completamente conquistato Candy, ridestando quell’ istinto alla ribellione contro le ingiustizie che l’aveva portata, in un memorabile confronto alla St. Paul School, ad accusare Suor Grey di avere una pietra al posto del cuore.
    - Mi fa piacere che si sia creato questo feeling tra te e Eleanor, Candy. Frank mi ha detto che è assolutamente reciproco e che sua moglie esprime parole di grande stima e apprezzamento per te. Pare ti abbia definito “cristallina” … immagino sia un complimento!
    - Oh, Bert, purché non fosse un riferimento alle troppe coppe di champagne che ho bevuto a quel ricevimento! – esclamò Candy, imbarazzata.
    Entrambi scoppiarono a ridere di cuore.
    - Candy – le disse Albert quando le risate si furono calmate – a questo proposito ho qualcosa da dirti.
    Albert era tornato serio e Candy rizzò le orecchie, come antenne immediatamente all’erta. Conosceva Albert troppo bene per non intuire dal tono della sua voce che gli scherzi erano finiti e che stavano per passare a un livello più impegnativo della conversazione.
    - Dimmi Bert, c’è qualche problema?
    - No, no, tesoro, nessun problema. Solo delle meravigliose opportunità!
    Albert le rivolse quel suo aperto e rassicurante sorriso che le avrebbe sempre fatto sembrare superabili anche le fiamme dell’inferno, se solo lui le avesse detto che lo avrebbero fatto insieme, e la ragazza si accinse ad ascoltare quanto aveva da dirle.
    - Candy, devo partire. Sono stato convocato dal presidente Wilson in persona a Parigi. Le trattative a Versailles sono giunte a una fase di stallo e pare che ci si sia arenati proprio sul punto relativo agli aiuti economici e alle riparazioni di guerra. Il presidente desidera tutti i suoi consulenti al proprio fianco per aiutarlo a giocare questa difficile partita, incluso me.
    Parigi!
    Candy sgranò gli occhi. Albert doveva essere diventato un vero e proprio pezzo grosso, se la sua presenza veniva richiesta al tavolo al quale in quel momento venivano prese le importanti decisioni che avrebbero condizionato il futuro del mondo.
    - Tesoro – continuò Albert, guardando Candy negli occhi verdi in quel momento sgranati per lo stupore – mi piacerebbe portarti con me, ma si tratterà di una trasferta a tempo indeterminato, dipendendone la durata dal buon esito dei colloqui del presidente Wilson. E per tutto il tempo dovrei lasciarti sola per intere giornate, senza potermi dedicare a te neanche un po’, come invece riesco a fare qui a Washington…
    - Inoltre il mio francese non è esattamente degno di Molière e di monsieur Victor Hugo, dillo, Bert! – intervenne Candy, sollevata che il suo caro amico non le stesse chiedendo di andare con lui in Francia.
    Le era già sembrata un’enorme distanza dai suoi cari e dalla casa di Pony spingersi fino alla costa orientale. Attraversare l’oceano in quel momento non rientrava tra i suoi progetti. Soprattutto se, come diceva Albert, sarebbe stato impossibile girare un po’ insieme per quella meravigliosa città.
    - No, Candy, hai ragione. Credo che dovrei chiedere a Suor Grey la restituzione di parte della retta che ho pagato per farti studiare presso il suo prestigioso collegio, considerando le gravi lacune in francese e musica che ha lasciato nella tua educazione. Certo, c’è anche da dire che se tu non fossi scappata via senza terminare neanche un anno completo di lezioni, per metterti a viaggiare da clandestina sulle navi merci, forse la simpatica direttrice avrebbe potuto trasmetterti qualche perla della sua conoscenza e saggezza in più di quanto non abbia effettivamente fatto.
    Candy alzò gli occhi al cielo al pensiero dell’arcigna direttrice e di tutti gli scontri che aveva avuto con lei, fino a quello finale che ne aveva decretato l’espulsione, poi evitata solo grazie al sacrificio di Terence, che aveva abbandonato la scuola al suo posto…
    … La consueta fitta al petto.
    Con lo stesso dolore acuto e repentino di una coltellata al cuore, le sembrò di udire nitidamente la sirena di quel piroscafo che, sbiadito e sempre più lontano, come un gigante stanco che si staccava faticosamente dalla costa, avvolto dalla nebbia del porto di Southampton, le portava via per sempre l’amore della sua vita. E lei adesso si sentiva ancora lì, aggrappata a quella ringhiera nell’oscurità, a gridare il nome di Terence a quel vento che sembrava spingerlo sempre più lontano da lei.
    Scosse il capo. No! Non di nuovo!
    I ricordi di Terence la assalivano sempre all’improvviso, come in quel momento, e la trasportavano nel tempo e nello spazio in mondi di estasi infinita, in riva a un lago scozzese o sulla seconda collina di Pony. Oppure, con gli stessi vividi tratti di colore, la precipitavano nella più cupa disperazione su una terrazza spazzata dalla neve, o su un molo inglese dove il primo raggio di sole dell’aurora lottava per scalzare il buio liquido di una notte nebbiosa.
    “Dopo, Candy! Quando sarai sola nella tua stanza… come sempre.”
    - Sai Bert, tutto sommato credo che a Suor Grey sia rimasto il tarlo di non avere potuto completare la mia redenzione in collegio, visto che poi si è presa la briga di mandarmi tramite Archie e Stear la bibbia che avevo lasciato lì nella fretta della mia fuga! - disse Candy, con un tono di voce forzatamente allegro, nel tentativo coraggioso di stemperare la tensione evocata dai suoi ricordi.
    Albert la fissava intensamente con i suoi occhi trasparenti brillanti di comprensione. Da sempre sapeva leggere nell’espressione e tra le parole di Candy come in un libro aperto, fin dal loro primo incontro sulla collina di Pony, quindici anni prima.
    - Le hai anche scritto una lettera per ringraziarla, mi pare – le rispose, aiutandola a restare su quell’argomento lieve, per non far scappare la sua mente dove invece sempre anelava andare, tra le braccia del suo Romeo.
    - Già! Chissà se ne ha colto il tono ironico…
    - Tra le molte doti di quella santa donna direi che l’ironia non fosse annoverabile, stando ai tuoi racconti, Candy.
    Candy sorrise apertamente e Albert capì che per il momento era riuscito a trarla fuori dal passato per ricondurla nel presente.
    - Tornando a noi, Candy – riprese l’uomo, intrecciando le dita delle due mani davanti al volto, i gomiti appoggiati al tavolo dove Sybil, la cameriera, gli aveva appena servito il brandy – dobbiamo decidere cosa farai durante la mia assenza che si protrarrà, temo, per qualche mese.
    - Beh, davo per scontato di tornare alla casa di Pony - affermò Candy, sinceramente stupita che potessero esservi delle alternative.
    Per quanto le piacesse Washington, l’idea di restare lì senza Albert non la allettava affatto. Certo, c’era Patty. Ma non vivevano insieme e poi lei era sempre così impegnata con il suo lavoro.
    - Certo, questa è un’ipotesi. Ma potrebbe essercene un’altra ancora più interessante, Candy!
    - Cos’hai in mente, Bert? – chiese Candy, a quel punto sinceramente incuriosita.
    - Beh, potresti andare a New York!
    A quelle parole la mano di Candy, che si stava allungando per versarsi dell’acqua, fu scossa dallo stesso sussulto che le aveva attraversato tutto il corpo come una scossa elettrica e urtò un calice di vino, rovesciandolo. Sulla tovaglia di candido lino si aprì una rosa scarlatta che si espanse rapidamente, come ad allargare petali di rubino sul biancore niveo del lieve tessuto. Le iridi di Candy, fisse su quella macchia rossa, si sgranarono anch’esse, palesando la sorpresa e il panico che l’avevano violentemente assalita alle parole di Albert, al suono di quella città che per lei significava privazione, infelicità, sacrificio.
    Albert si affrettò a spiegare:
    - Mrs. Roosevelt lascerà Washington per qualche mese e tornerà a New York la settimana prossima. Eleanor tiene le fila di diverse attività e associazioni nella sua città, attività che ha delegato per troppo tempo e di cui vuole riprendere la guida, soprattutto per quanto riguarda un nuovo progetto: una casa di cura per minori vittime di incidenti sul lavoro. Mi ha espressamente detto che durante la mia assenza le piacerebbe portarti con sé e coinvolgerti nell’organizzazione, contando sulla tua esperienza come infermiera e sulla grande sensibilità che hai dimostrato alla Community of Hope. Vivresti a casa Roosevelt con lei e Patty.
    Candy continuava a rimanere immobile. Solo gli occhi accesi da turbolente scintille verdi e il lieve tremore delle mani mostravano che stava udendo le parole di Albert.
    L’uomo la guardò con infinita tenerezza e si alzò dal suo posto all’altro capo della tavola per andare a sedersi al suo fianco e posare una mano su quella di lei, ancora poggiata sulla tovaglia bianca accanto al calice rovesciato.
    - Candy, ascoltami ti prego....
    Candy rimase immobile, lo sguardo fisso alla grande macchia scarlatta, gli occhi lucidi e le labbra strette e tremanti.
    Il solo accenno a New York la sconvolgeva ancora, esattamente come se il tempo si fosse fermato a quel maledetto inverno e a quella notte, pensò Albert. Non aveva più senso aspettare che il tempo guarisse le ferite: per la sua Candy, c’era un solo “grande guaritore” possibile e aveva fieri occhi blu che lui ricordava bene, luminosi di allegria per uno scherzo condiviso tra amici. Solo lui possedeva l’unica chiave che potesse far ricominciare a battere il cuore della sua piccola Candy per la felicità, anziché per il dolore. Ma il primo passo era che lei uscisse dalla negazione e cominciasse ad affrontare il semplice fatto di non aver mai dimenticato Terence.
    - Piccola, tu devi assolutamente trovare il modo di trarti fuori da quest’impasse in cui sei piombata. Non puoi continuare a fingere di star bene. Né che ti sia sufficiente questa quotidianità serena e rassicurante di cui ti sei ammantata per proteggerti da domande su te stessa delle quali non ti piacciono le risposte.
    - Bert, ti prego… - Candy si volse a guardarlo con occhi lucidi di pianto e che esprimevano una muta supplica.
    - No, Candy. Abbiamo taciuto per troppo tempo. Io l’ho fatto per rispetto del dolore che hai, non troppo abilmente ma altruisticamente, nascosto dietro una maschera di pace apparente. Ma dopo tutto questo tempo non credi sia il momento di affrontare una volta e per tutte quello che è successo a New York…? – le strinse più forte la mano che si irrigidiva repentinamente – e provare ad andare avanti, nel modo che tu sceglierai? Questo stato di sospensione dalla vita, senza abbandonare il passato e nello stesso tempo impossibilitata ad andare verso il futuro, deve cessare immediatamente!
    Candy chiuse gli occhi e lacrime silenziose cominciarono a scivolare lungo le sue gote. Albert provava un profondo malessere nell’infliggerle quella tortura, ma non si fermò: capiva che, al punto in cui si era arrivati, era necessario.
    - Candy, la separazione tra te e Terence è stata dolorosa e allora vi è sembrata inevitabile. Avete agito con generosità e altruismo, sacrificando voi stessi. Adesso non ha forse più senso neanche cercare di capire se le vostre motivazioni fossero giuste o sbagliate. Avevo un’idea allora, quando sei tornata da New York prostrata dal dolore e dalla febbre; nel corso degli anni l’ho arricchita di altre valutazioni che solo a mente fredda e con l’obiettività di chi guarda i fatti dall’esterno possono essere fatte. Tu e Terence non avrete mai questa lucidità, purtroppo. Ma quel che conta, Candy, è che tutto ciò non ha più importanza!
    Candy aprì gli occhi ancora bagnati da lacrime irrefrenabili, lacrime che non versava più dal giorno del confronto con Annie.
    - Non importa più – ripeté Albert - perché Susanna e morta! È una tragedia, un lutto; ma lei è morta e tu e Terence siete ancora vivi, giovani e, mi pare del tutto evidente, innamorati. Almeno tu lo sei, come e forse più del giorno in cui vi siete lasciati. Perché il sacrificio ha reso Terence ancora più caro al tuo cuore. Quindi Candy, adesso ti dirò quello che avrei dovuto dirti un anno fa: non hai più scuse per insistere a essere infelice!
    Fu come se Albert con le sue parole le avesse dato un pugno in pieno petto, provocando l’emissione violenta e improvvisa di tutta l’aria dai suoi polmoni. Perché il suo Bert si era trasformato all’improvviso in quel giudice così duro e spietato?
    - Hai capito bene, Candy? – continuò lui, implacabile – cinque anni fa hai scelto di rinunciare a Terence. Per tutta una serie di ragioni, ma in primo luogo perché pensavi di fare il suo bene. Se oggi scegli ancora e consapevolmente di perseverare nella tua rinuncia, non provando neanche a riprenderti la felicità e l’amore che ti mancano, e che probabilmente mancano anche a lui, lo fai consapevolmente e da adulta. Ma sappi che a questo punto ti assumerai la completa responsabilità del tuo dolore. Senza più nessuna Susanna Marlowe a farti da comodo alibi!
    Gli occhi di Albert non abbandonavano i suoi, sembrava che le stessero dando la caccia, andandola a stanare nel rifugio in cui si era nascosta per tutti quegli anni.
    - Oh Bert! – Candy liberò la mano dalla stretta di lui e appoggiò i gomiti al tavolo, coprendosi il volto con le mani e cominciando a singhiozzare disperatamente – Non ce la faccio… non ce la faccio! Io lo amo così tanto… e non ce la faccio… La mia volontà mi grida di tornare da lui ma il mio cuore e il mio corpo sono semplicemente paralizzati all’idea di rivivere la stessa sofferenza di quel giorno, quel senso di abbandono quando lui mi è sfilato davanti in silenzio su quella terrazza!
    Candy era squassata dai singhiozzi, adesso, ma Albert non la interruppe. Da troppo tempo Candy faceva circolare nel suo corpo quelle sensazioni letali come un veleno che le aveva aggredito l’anima e soffocato ogni scintilla di speranza. Era ora che lo espellesse, dolorosamente come era entrato in lei.
    - Non mi ha detto niente, Bert! Ha distolto lo sguardo da me e… non mi ha lasciato altra scelta! Mi stava chiedendo aiuto! Era il suo modo di chiedermi di salvarlo da se stesso… e io l’ho fatto. Ho raccolto tutta la mia forza e l’ho fatto. Allora, in quel preciso momento, senza aspettare un solo istante di più… perché sapevo, lo sapevo bene, che se avessi aspettato anche solo il tempo di un ultimo sguardo non ne avrei mai più avuto la forza. Non posso… non so se posso rivivere tutto quel dolore, quell’angoscia, quel senso di abbandono…
    Le parole, spezzate da singhiozzi sempre più flebili, finalmente erano fluite fuori da quel cantuccio oscuro dell’anima dove Candy aveva nascosto il dolore, illudendosi di averlo annullato e avendolo invece solo nutrito con i pezzi strappati dal suo cuore lacerato. Candy sollevò il viso, asciugandosi le lacrime come al solito con una mano, nel consueto gesto che fece sorridere teneramente Albert suo malgrado, e con l’altra si aggrappò al ciondolo di zaffiro che come sempre le pendeva al collo.
    L’uomo le accarezzò dolcemente la guancia e le sorrise fraternamente prima di riprendere, questa volta con tono più tenero:
    - Molto bene, Candy. Capirò, se le cose stanno così. Stai scegliendo di piegarti al dolore e di rinunciare ad una seconda occasione di felicità. Nessuno ti biasimerà per questo, per il fatto che hai paura di rivivere quel dolore che ti ha spezzata. Io personalmente sono convinto che sia un errore, che un legame come quello che unisce te e Terence meriti una seconda opportunità. E sono anche convinto (ma è una mia considerazione, mentre tu devi seguire ciò che ti suggerisce il tuo cuore) che un’affinità del genere non possa che vibrare ancora anche nel cuore di Terence. Credo che anche lui si stia agitando nello stesso pantano di paure e rimpianti nel quale ti sei arenata tu. Ma, Candy, il punto è che nessuno può dirvi cosa fare e come vivere il vostro dolore e la vostra vita.
    Candy aveva gli occhi incollati ai due spicchi di cielo che brillavano in quelli di Albert, le cui parole a poco a poco stavano penetrando sotto la sua consolidata e temprata corazza.
    - Però una cosa la esigo – continuò lui - non come tuo tutore, né come tuo amico, ma come persona che ti vuole bene più che a chiunque altro al mondo: se scegli di rinunciare, devi essere coerente fino in fondo, accettare di portare questo fardello e uscire comunque dal cantuccio in cui ti sei rintanata. Non puoi più vivere con lo spauracchio di questo dolore, di questo amore perduto. Mia cara, vai a New York, che sia per ritrovare Terence o per dimostrare a te stessa che lo hai relegato nel passato… ma sei rimasta per troppo tempo nel guado tra queste due possibilità! Ed è il momento di uscirne!
    Candy aveva cominciato a respirare di nuovo normalmente: il suo sfogo e soprattutto le parole di Albert sempre così piene di saggezza e affetto ma anche, come mai prima di allora, determinate e incalzanti, avevano avuto l’effetto di dissipare il panico.
    Lui aveva ragione, come sempre. Doveva scegliere una volta per tutte in che direzione andare. Lo aveva promesso mesi prima ad Annie e poi, nascondendosi dietro l’ottimo paravento costituito dall’eccitazione per la nuova vita che aveva intrapreso a Washington, aveva di nuovo codardamente riposto in disparte quel tarlo che la stava divorando dall’interno.
    - Va bene, Bert… ti prometto che ci penserò… - gli disse, prendendo questa volta una delle mani di Albert tra le sue per trasmettergli, senza parole inutili fra loro, tutta la propria gratitudine. Solo averlo ascoltato la faceva sentire più leggera.
    Annie qualche mese prima aveva già smosso con la sua dolcezza il macigno del senso di colpa che bloccava la porta tra lei e il suo futuro; ora Albert con la sua saggezza l’aveva spinto via del tutto, andando all’origine del senso di abbandono che lei ancora provava dalla separazione da Terence. Adesso il varco era sufficientemente ampio perché lei lo oltrepassasse.
    Stava solo a lei decidere se fare quel passo e quale direzione intraprendere di lì in avanti.
    E Candy scelse di andare avanti.
    Sapeva che Albert aveva ragione e che per capire veramente cosa voleva dal suo futuro doveva tornare indietro, all’origine di quel “resto della sua vita” che era iniziato in una notte d’inverno, sotto il cielo bianco e pesante di neve di quella città della quale non riusciva più a pronunciare il nome.
    A New York, sì. A New York.

    *Romeo e Giulietta, Atto I, Scena II.

    [continua]


    n.d.a. Ringrazio fin d'ora tutti coloro che vorranno lasciare un commento o un pensiero su questa Fan Fiction: i vostri feedback sono preziosi. Il topic dove lasciare eventuali commenti è ->QUI<-
     
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