Gli Smeraldi e lo Zaffiro

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  1. Cerchi di Fuoco
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    "Se fuggire fosse una soluzione, io sarei fuggito da te già da tanto tempo"

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    La camera era enorme, intrisa della stessa gelida atmosfera che Terence ricordava bene dal passato, sebbene la temperatura venisse mantenuta calda dal fuoco scoppiettante nell’enorme camino e da un enorme e folto tappeto che ricopriva pressoché l’intero pavimento di pietra. Tutto l’arredamento, dalla poltrona di fronte al camino, al tavolo rotondo con le quattro sedie sotto la grande finestra chiusa da pesanti tendaggi, al secrétaire istoriato d’oro, era di pregiato legno massiccio e, chiaramente, ogni pezzo si trovava esattamente nello stesso punto in cui era stato posizionato dai primi abitanti di quel castello, nel XVI secolo. A dominare l’ambiente era comunque l’enorme letto a baldacchino, guarnito da pesanti tendaggi di velluto rosso e oro, i colori di famiglia, raccolti morbidamente in onde che si avvolgevano attorno alle colonne elaboratamente intagliate.
    Semi-sdraiato su quel letto, la schiena poggiata su un numero spropositato di guanciali a sostenerlo e le gambe allungate davanti a sé sotto una coltre di coperte, una veste da camera di velluto damascato rosso sulle spalle e metà del volto in ombra per effetto del drappeggio che schermava il letto, Sua Grazia Richard Charles Stanton, Lord Cobton e Duca di Granchester, fissava verso l’ingresso della camera la slanciata ed elegante figura del figlio, immobile nella lama di luce che filtrava dall’anticamera.
    Terence rimase lì per qualche secondo, assimilando la sensazione di trovarsi nella stessa stanza con suo padre, di respirare di nuovo la sua aria. Attese che la familiare ondata di rabbia lo travolgesse nel modo che ben ricordava, prima di defluire lasciando dietro di sé la risacca della frustrazione. E invece non sentì nulla. Era lì, ogni muscolo del corpo teso allo spasimo, i pugni stretti tanto forte da fargli male e lo sguardo, ombreggiato dai lunghi capelli che gli spiovevano sul volto, fisso verso il letto, cercando di trarre dal vasto repertorio di frasi che da tanti anni desiderava rivolgere a quell’uomo la giusta battuta d’esordio.
    - Terry… avvicinati figliolo!
    Non fu il fatto che lo avesse chiamato “Terry”, come non avveniva più da quando era bambino; né che lo avesse chiamato figliolo, come forse non era mai avvenuto.
    Fu la sua voce.
    Era quella la voce di suo padre? C’era un’inflessione diversa, forse dovuta alla malattia o forse all’imbarazzo. O a un qualche timore, non avrebbe potuto dirlo.
    Nel corso di ogni vita vi sono poche, determinanti occasioni in cui il tempo risulta come sospeso, e la scelta della direzione prendere da quell’esatto punto in poi darà un’impronta invece che un’altra a tutto il nostro destino. Terence lo sapeva, ed era consapevole di trovarsi di fronte a uno di quei momenti, così come era certo che, quando fosse uscito da quella stanza, in un modo o nell’altro niente sarebbe stato più lo stesso.
    Si avvicinò lentamente al letto, i drappeggi scoprivano a poco a poco il volto del padre a mano a mano che riduceva la distanza che li separava e, sebbene fosse preparato ad affrontare il segno degli inevitabili cambiamenti intervenuti nel corso degli anni di lontananza, Terence non era preparato a ciò che vide e sussultò, bloccandosi a circa un metro da lui.
    Il duca di Granchester aveva 45 anni, ma ne dimostrava dieci di più. L’affascinante aristocratico dallo sguardo di ghiaccio e dai lineamenti cesellati ma terribilmente virili, le spalle larghe e la corporatura slanciata identica a quella del figlio, aveva ceduto il passo a un uomo di mezza età, magro e leggermente curvo, l’incarnato grigiastro e le guance scavate. Gli occhi erano cerchiati di blu e avevano perso l’espressione di alterigia che li aveva sempre illuminati. Come nurse Robbins aveva preannunciato, il lato destro del volto, dal sopracciglio al mento, aveva lievemente ceduto, fortunatamente non tanto da privarlo dell’espressività del volto o da alterarne i tratti, ma piuttosto contribuendo ad accentuare un’idea di sofferenza, di sconfitta, che nel complesso comunque caratterizzava ogni tratto di quell’uomo che in passato aveva espresso, al contrario, potere e autorità con ogni gesto e parola.
    Terence non disse nulla, ma le sue iridi di cobalto si accesero di una fiamma più intensa quando arrivò al cospetto del padre e si ritrovò a fissarlo negli occhi grigi, combattuto tra il timore e la speranza di ritrovare qualche traccia dell’uomo che ricordava.
    - Grazie per essere venuto, Terry – gli disse il padre, azzardando il gesto di allungare una mano verso di lui ma bloccando il movimento quasi subito per lasciare ricadere di nuovo il braccio sulle coperte con un movimento lento - Non so dirti quanto questo significhi per me. Siediti figliolo, ti prego…
    Il duca gli indicò una poltroncina di velluto scuro accanto al letto e Terence vi prese posto, molto teso. Con i gomiti poggiati sui braccioli incrociò le mani in grembo e si appoggiò allo schienale, continuando a tenere gli occhi fissi sul padre. Non aveva ancora detto una parola all’uomo che si trovava dinanzi a lui per la prima volta da più di cinque anni a quella parte ed era interiormente squassato da una lotta tra le contrastanti emozioni che quell’incontro aveva risvegliato in lui. Lo shock nel trovarsi di fornte il genitore così fragile e indebolito, rispetto al titano che aveva dominato la sua infanzia e giovinezza, si mescolava con il vecchio rancore tornato a rialzare il capo, subitaneamente risvegliatosi alla vista di quegli occhi plumbei che tante volte avevano osservato con indifferenza la sua solitudine da bambino, prima di voltarsi crudelmente dall’altra parte.
    Il duca, osservandolo con quanto di più vicino a un sorriso Terence ricordasse di essersi visto rivolgere fin da quando era molto piccolo, gli disse:
    - Sei diventato un uomo Terence. Un vero Granchester.
    Quelle parole ebbero l’effetto di rompere l’incantesimo che fino a quel momento aveva paralizzato Terence. Sentire il padre, quasi a volerlo gratificare, rivolgersi a lui con il nome che Terence stesso aveva scagliato contro di sè migliaia di volte nelle proprie notti insonni, quale peggiore delle accuse da rivolgere a un uomo, fu come ricevere una secchiata di acqua gelida in pieno volto. E altrettanto glaciale fu il tono in cui gli rispose:
    - Non uso più quel nome da molto tempo, padre, e vi sarei grato se vi atteneste anche voi a questa accortezza. Sono solo Terence Graham, adesso. Come sapete non ho mai attribuito particolari motivi d’orgoglio all’appartenenza al casato che avete citato.
    - Non disprezzare l’onore del quale decine e decine di tuoi antenati hanno colmato questo nome, figliolo, spesso a costo della loro vita. E non vanificare secoli di servizio al Regno solo per il disprezzo che nutri nei confronti di uno solo di loro – gli rispose il duca, con un breve sfavillio a illuminargli gli occhi.
    - L’onore è un concetto sopravvalutato a mio modesto parere, padre – rispose Terence con voce tagliente di sarcasmo - ho avuto modo, purtroppo, di riflettere sulla cosa in molteplici occasioni in questi anni. Sebbene potrei dire che il primo insegnamento in tal senso mi sia giunto proprio da voi.
    - Non dire così, figliolo. L’onore non è mai sopravvalutato. È la spina dorsale attorno alla quale un vero uomo non può non costruire il proprio codice di valori. Sono le nostre azioni, per le quali troviamo opportuna copertura al riparo del suo nome, che talvolta ne distorcono il significato. Più spesso di quanto vorremmo, ne facciamo un alibi per agire non come è giusto ma come dobbiamo. Ho imparato a mie spese nel corso della vita la differenza tra onore e dovere, quante volte li abbia stupidamente confusi, e quanto avrei dovuto invece imparare da mio figlio quale sia il comportamento di un vero uomo d’onore.
    Terence era allibito.
    Sentirgli pronunciare con voce affaticata dalla malattia quei concetti che il padre gli aveva già scritto, quelle parole di pentimento e ripensamento di tutta la propria esistenza, era quanto di più straniante avrebbe mai potuto immaginare. I lineamenti, la voce, i pensieri stessi di quell’uomo erano quelli di una persona diversa rispetto al genitore che ricordava, e gli toccavano corde sensibili e messe a tacere da troppo tempo. Si chiese quanto del cambiamento di cui stava appena cominciando a valutare la portata fosse dovuto all’essersi trovato faccia a faccia con la morte.
    - Come vi sentite, padre? – gli chiese quindi, con voce ancora dura ma consapevole in maniera dolorosa di quanto l’uomo di fronte a lui dovesse essersi sentito vicino alla fine dei suoi giorni.
    - Ho passato dei momenti difficili, figliolo. Il mio cuore pare non sia mai stato così forte e saggio come lo avevo reputato in passato… - il duca fece una pausa, fissando intensamente Terence – comunque, forse devo ringraziarlo per avermi dato un segnale. Sì, considero l’accaduto quasi come una benedizione.
    - E cosa dice il dottore circa la vostra ripresa? – si informò Terence con un tono che, inconsapevolmente, gli si addolciva di una infinitesimale ottava.
    - Il dottore innanzitutto ci ha tenuto a farmi sapere quanto io sia fortunato a essere ancora con voi, Terence. Ovviamente solo tu puoi dirmi se (e quanto) condividi personalmente questo punto di vista di Sir Pritchard... – il duca si interruppe fissandolo e Terence sostenne il suo sguardo senza dire nulla e senza mutare espressione – ...ma io non intendo più sprecare ulteriore tempo di quello che mi è stato concesso, breve o lungo che sia. Ad ogni modo, per rispondere da un punto di vista squisitamente medico alla tua domanda, il vecchio duca di Granchester, il leone della camera dei Lord, il “feudatario” sempre in viaggio per i suoi vasti possedimenti al fine di terrorizzarne gli abitanti, è ormai un ricordo del passato. E senza arrivare ad affermare che sarò relegato in questo letto per il resto della mia vita, figliolo, le mie attività dovranno molto allentarsi in futuro.
    - Allentarsi? – chiese Terence, domandandosi a quali limitazioni il padre andasse incontro in concreto.
    - A qualcuno potrebbe sembrare una piacevole prospettiva quella di dedicare la seconda parte della propria vita ad attività puramente meditative e riposanti, come la lettura del giornale al club, ovviamente privato dell’accompagnamento di un buon scotch, le sedute meno controverse e dibattute del Parlamento e la visita dei propri nipoti, quando avrò tale benedizione.
    - Non a voi, padre… - Terence sorrise suo malgrado, ricordando quanto poco nella sua infanzia avesse potuto godere della vicinanza, sia pure indifferente, del padre.
    Egli era stato costantemente impegnato in qualche importante dibattito in Parlamento o nel frequente giro delle sue terre per aggiornarsi di ogni cosa vi avvenisse, premurandosi anche di tenere in costante allarme ogni dipendente e servitore a causa di quella durezza dei modi con cui era solito evidenziare ogni dettaglio del loro lavoro che non incontrasse la sua approvazione.
    - D’altro canto, Terence, aver tempo di meditare non è certo qualcosa di negativo a priori… - Terence capì che era giunto il momento del confronto aperto - ...per cui credo sia giunto il momento di parlare a cuore aperto di noi due e di ciò che ci ha allontanati. E ti prego di non rispondermi, come hai fatto in occasione del nostro ultimo incontro, che io non ho un cuore: nelle mie condizioni potrebbe suonare come un’affermazione di pessimo gusto.
    Terence era allibito: il duca di Granchester aveva davvero appena fatto una battuta di spirito?
    - In questo caso mi limiterò a constatare che lo tenevate evidentemente ben nascosto negli anni della mia infanzia, padre.
    - Terry – esordì il duca, senza abboccare alla provocazione del figlio. Conosceva bene il suo temperamento e non si aspettava certo una pronta ed entusiastica accettazione delle sue scuse, da quel fiero e orgoglioso uomo nel quale era maturato il suo ribelle ragazzo - la mia vita non è stata costellata solo di errori, ma devo ammettere di averne fatti parecchi, soprattutto con te. A mia parziale attenuante potrei dire che, da quando hai raggiunto l’età della ragione, tu non hai fatto molto per impedirli. Anzi, ti sei divertito a gettare benzina sul fuoco come se, più alte fossero le fiamme del nostro risentimento, meglio ti facesse sentire odiarmi. Ma lasciamo per il momento da parte tali considerazioni, giacché non ti ho fatto attraversare l’oceano per ascoltare le mie recriminazioni. Quali che fossero le tue colpe, infatti, tu eri un bambino, e poi un ragazzo, e io un uomo e un padre che avrebbe dovuto coltivare la tua anima, invece di rifornirti sbrigativamente solo di un codice di condotta esteriore con cui rivestirla. E considerando la mia assenza, anzi, oserei dire il mio ostruzionismo, non posso che essere orgoglioso dell’uomo che sei diventato senza il mio aiuto.
    “Come pensa di conoscere il tipo d’uomo che sono diventato?” si chiese Terence, senza dar voce ai suoi pensieri, affascinato da quel contatto con le intime riflessioni del genitore, messe a nudo per la prima volta.
    - Quando sei andato via, Terence, ero furioso di rabbia per l’estremo epilogo della tua costante ribellione alla mia autorità…
    - Io non mi sono ribellato alla vostra autorità, padre – lo interruppe Terence - ma alla vostra distanza da tutto ciò in cui io credevo. Ed alla vostra pervicacia nell’impormi di diventare ciò che non sono e non sarò mai.
    - È vero, Terry. Tu non sarai mai come me!
    Terence spalancò gli occhi, le meravigliose iridi blu dilatate, colpito al cuore nel sentir pronunciare proprio dal padre il mantra della propria ribellione. Sebbene lo avesse recitato per anni, gli si era ripercosso contro proprio nel momento supremo della sua vita, quello in cui avrebbe dovuto trasformare le parole in fatti, lottando per colei che più amava al mondo contro il destino avverso. E invece in quel momento aveva replicato proprio l’odiato stereotipo paterno, perdendo tutto ciò che per lui avesse un valore. La rivelazione lo colpì dolorosamente, come un pugno in pieno sterno che gli mozzò il respiro.
    Era quello, sì, era quello, ciò che non riusciva a perdonargli!
    Mille volte di più dei lunghi anni di solitudine e incomprensione in cui il padre lo aveva fatto crescere con la sua assenza e i suoi silenzi. Mille volte di più delle vessazioni a cui lo avevano sottoposto la sua matrigna e i suoi fratellastri, nel silenzio indifferente e quindi complice di suo padre, almeno fino a quando lui non aveva raggiunto l’età per ribellarsi con violenza contro di loro. E ancora di più del dolore e dell’umiliazione che il duca aveva inflitto a sua madre. Era l’avergli trasmesso quel senso dell’onore che gli era costato l’amore della sua vita. Ma ora, di fronte al padre e a se stesso, doveva avere l’onestà di domandarsi se il genitore fosse il giusto bersaglio del suo odio. O forse il duca era stato solo il più comodo dei paraventi dietro il quale nascondere la propria debolezza?
    Era giunto il momento di fare i conti con la realtà.
    - Padre, io… io credo di essere più simile a voi di quanto voi stesso possiate immaginare!
    Il duca aggrottò le sopracciglia:
    - Cosa intendi dire, figliolo?
    - Che il motivo per cui sono qui oggi, al di là della vostra lettera e della preoccupazione per la vostra salute, è che il tempo ha aiutato anche me a comprendere quanto sia difficile interpretare il ruolo di uomo sul palcoscenico della vita – Terence chinò lo sguardo, fissando con occhi ardentemente brillanti le proprie mani ancora intrecciate in grembo.
    Il duca evidentemente non si aspettava una tale apertura, perché rimase per qualche secondo in silenzio e sospirò ad occhi chiusi, assimilando la portata delle parole appena pronunciate dal figlio e cercando di immaginare quali dolori e quali sofferenze potessero aver causato un tale triste bilancio nel suo amato figlio poco più che ventenne.
    - So che la tua fidanzata è morta circa un anno fa, Terry….
    - Desidererei non parlare di lei, padre – lo interruppe Terence con un tono tagliente come una lama d’acciaio. Un tono che non ammetteva repliche.
    Il duca annuì. Ci sarebbe voluto del tempo, se mai fosse successo, perché il muro tra lui e il figlio potesse venire completamente sgretolato: non intendeva rovinare tutto sfilando il mattone sbagliato prima che fosse giunto il momento.
    - Figliolo, la distanza creatasi tra noi ha radici molto lontane, che affondano in errori da me commessi ancor prima della tua nascita. E, per essere completamente chiari, desidero aggiungere che quando cito tali errori non mi riferisco all’avere amato tua madre – Terence rimase allibito nell’udire per la prima volta il padre associare la parola amore al nome di sua madre – ma piuttosto al non essere stato capace di riconoscerne il reale valore. Tua madre mi ha mostrato cosa fosse la vera grandezza d’animo, Terence, sì. Non posso riparare a ciò che le feci. Non tanto con il mio allontanamento, che considero ancora oggi inevitabile, ma per il modo in cui lo gestii: da ragazzino immaturo e impreparato ad affrontare una situazione più grande di me. Posso solo chiederle di perdonarmi.
    Terence ascoltava in silenzio quel tributo alla madre pronunciato dall’uomo che le aveva causato l’enorme sofferenza che sarebbe stata compagna di gran parte della sua vita. Colui che, approfittando del suo amore, le aveva strappato il figlio amatissimo per più di dieci anni, facendoglielo poi ritrovare intriso di rifiuto, a causa dei lunghi anni di condizionamento psicologico cui era stato sottoposto da suo padre e dalla sua matrigna.
    Il duca continuò, raccontando come Eleanor si fosse sottomessa per amore del figlio: gridare al mondo lo scandalo avrebbe significato privarlo dei suoi diritti come erede legittimo del duca e della sua nuova moglie, figlia di esponenti di nobiltà minore, che aveva accettato la situazione in cambio del titolo di duchessa, salvo covare poi una rabbia sorda e implacabile contro quel bambino che con la sua sola esistenza privava i suoi figli naturali dei diritti di successione. Da lì erano derivate le vessazioni e le sottili crudeltà psicologiche con le quali quella donna, frustrata da un matrimonio senza amore e dall’invidia verso quel bambino che possedeva, anche nell’aspetto e nell’intelligenza, tutti i doni che mancavano ai suoi figli, aveva tormentato l’infanzia di Terence. Il duca, dal canto suo, non era stato in grado di porre fine a questa spirale di rancore e rabbia, prigioniero delle proprie scelte che tanta infelicità e sofferenza avevano causato in tutti coloro che amava, aveva amato, gli stavano accanto.
    - La duchessa qualche anno fa ha ritenuto di aver concesso abbastanza al nostro matrimonio in cambio di ciò che aveva ricevuto e da allora viviamo vite separate: lei a Windermere e io tra Londra e la Scozia. Per quanto io sia consapevole delle sofferenze che ti ha causato in passato, non riesco a odiarla, Terry. Credo che anche lei sia stata una vittima delle mie azioni.
    - Non credo ancora di essere in grado di separare la razionalità dall’emotività, quanto a questo, padre. Spero vorrete scusarmi ma la duchessa e i suoi figli dovranno attendere ancora prima di avere la mia considerazione! – replicò Terence con un tono fortemente sarcastico che non riusciva a nascondere profonde cicatrici. Ancora una volta, il suo tono non ammetteva repliche.
    - Capisco, figliolo. Ho il cuore lacerato al pensiero di ciò che ho lasciato ti accadesse da bambino. E dall’averti poi abbandonato fin dalla tenera età in collegio, invece di fare il mio dovere di padre, lasciandomi respingere dall’impeto della tua ribellione.
    Terence sorrise per la prima volta dall’inizio di quel difficile colloquio:
    - Di tutte le cose di cui vi dolete, padre, questa è l’unica per la quale potete assolvervi fin da subito. Non potrei esservi più grato di quanto sono, per avermi fatto studiare alla St. Paul School – Terence chiuse gli occhi, i lineamenti improvvisamente distesi e addolciti al pensiero di un ragazzo in costume del settecento e di una ragazza vestita da Giulietta che ballavano su una collina, la brezza leggera di un maggio in fiore ad accarezzarli dolcemente e il cuore pieno di sentimenti nuovi e sorprendenti per la loro stessa intensità. Un bacio, per Terence la promessa di tutto ciò che di radioso il futuro avrebbe potuto portare per entrambi, se solo le cose fossero andate come sembrava possibile in quel lontano giorno di primavera.
    Mai più! Mai più aveva provato quella sensazione di totale gratitudine per la vita.
    Il duca sembrò capire, ma non chiese nulla. Ci sarebbe stato tempo, se Dio gli avesse fatto dono dell’affetto del figlio che aveva creduto perduto, di recuperare i pezzi del passato.
    - Padre, la cosa che conta di più per me è la vostra ammissione di responsabilità verso mia madre e verso ciò che c’è stato tra voi. Il passato non può essere cambiato, ma il fatto che chiediate perdono a lei per quel passato costituisce per me il presupposto di qualunque evoluzione nei nostri rapporti in futuro. La mia vita d’adulto mi ha insegnato (e purtroppo a mie spese) quanto sia difficile affermare i propri principi e tutto ciò in cui si crede in quei pochi istanti in cui la vita ci impone scelte particolarmente dolorose. E soprattutto... – a Terence si spezzarono le parole, ma si sforzò di concludere con voce roca – quanto sia facile fare soffrire proprio coloro che amiamo di più al mondo… quando in realtà il nostro unico desiderio è amarla, accudirla, proteggerla… poterla avere vicina per sempre… o forse solo per quell’unico istante ancora, per un’ultima occasione di dirle quanto la amo e l’amerò sempre.
    Terence non si era accorto di aver mutato i termini del suo costrutto mentre parlava, dando voce con passione ai suoi più profondi sentimenti, nè di aver completato la frase rivolgendo il pensiero direttamente all’unica persona che da sei anni occupava il suo cuore, prima con la forza del suo amore e poi con il vuoto lasciato dalla sua assenza.
    Il duca annuì. Tutto gli era chiaro, adesso. Fu acutamente colpito dall’immane rimpianto che aveva percepito nelle parole del figlio. Poteva cercare di riparare ai suoi errori ma, cosa di cui ogni genitore prende atto con angoscia a un certo punto della propria vita, era impotente al cospetto del dolore che il fato sembrava avere riversato a piene mani sul figlio.
    - Figliolo, accetta le mie più profonde scuse per ogni sofferenza che ti ho causato in passato. Il mio unico impegno da ora innanzi è di essere un vero padre, degno non soltanto del nome che porto, ma soprattutto di quello che lascerò a te.
    Terence all’improvviso avvertì la tensione abbandonarlo e le lacrime salirgli agli occhi, il turbinio di emozioni suscitato dalle confessioni e dalla richiesta di perdono del padre si mescolava alla rievocazione dei propri più intimi sentimenti per il suo amore perduto.
    Adesso più che mai comprendeva suo padre. Sentiva di poterlo perdonare, come già aveva fatto sua madre, per aver compiuto la scelta sbagliata di fronte al bivio che si era trovato a incrociare troppo presto e impreparato. Ma solo il tempo avrebbe detto se tutte le successive fratture scavate fra di loro in un passato fin troppo doloroso sarebbero state ricomposte, con pazienza e perseveranza.
    Pensò a Candy, a ciò che gli aveva detto tra le lacrime quando lo aveva spinto a riconciliarsi con la madre:
    “Se io fossi stata così fortunata da avere dei genitori non avrei mai permesso a niente e nessuno di separarci… hai la più grande delle fortune e la stai gettando via per inutile orgoglio! L’orgoglio non ti consolerà quando resterai solo!”
    Era sempre stata lei a ispirargli i migliori sentimenti, gli unici incontaminati che avesse mai provato nella vita. A indicargli la strada di ciò che poteva renderlo felice e che per pura arroganza lui si rifiutava di vedere. Ma non si era limitata a spronarlo: lo aveva sempre accompagnato per mano sulla strada giusta, con quel meraviglioso e caldo sorriso che avrebbe sciolto i ghiacciai. Da quando l’aveva lasciata andare, vagava come un cieco senza una meta. Era giunto il momento di far cadere quel velo che gli aveva occluso la vista per troppo tempo e di riprendere la rotta, seguendo la sua stella polare.
    - Accettate anche voi le mie scuse per aver perseverato nell’orgoglio e nel rancore in tutti questi anni, invece di compiere io per primo il difficile passo che adesso voi, da vero padre, mi state mostrando: quello del perdono. Non so quanto tempo occorrerà, ma spero di riuscire ad essere un vero figlio per voi.
    Il duca, profondamente commosso dalle accorate parole del figlio ritrovato, affaticato dalle emozioni della giornata e debilitato dalla malattia, si appoggiò ancora più indietro sui cuscini e sospirò chiudendo gli occhi.
    - Sei il migliore dei figli, Terry. E oggi hai fatto per il mio cuore più di quanto abbia fatto il pur ottimo dottor Pritchard nell’ultimo mese.
    Terence sorrise. Non era la fine, bensì l’inizio di un cammino per lui e suo padre. Ma la porta era stata aperta e la brezza del perdono era entrata nel suo cuore. Si alzò dalla poltrona e si sentì molto più lieve di quando vi si era seduto.
    - Padre, adesso dovete riposare. Non temete, mi fermerò qualche tempo qui con voi a Granchester Manor. Ho annullato tutti i miei impegni nell’immediato futuro.
    Terence sentiva il bisogno di fermarsi a riflettere attentamente sui suoi prossimi passi. La sua vita stessa era al bivio più importante.
    - Vuoi dire che il pubblico di Broadway per un po’ di tempo dovrà rinunciare alla tua prodigiosa interpretazione di Otello, Terry?
    Terence era stupefatto:
    - Voi avete seguito la mia carriera, padre?
    - Ho seguito la carriera di uno dei più stupefacenti interpreti shakespeariani dei nostri tempi. Il mio vecchio amico Sir Francis Benson mi ha magnificato personalmente le tue straordinarie doti dopo averti visto interpretare Amleto l’anno scorso a New York.
    Terence represse un moto d’orgoglio: Sir Benson era uno dei maggiori attori teatrali degli ultimi trent’anni, nonché da tempo immemorabile direttore dello Shakespeare Memorial Theatre di Stratford-upon-Avon. Si trattava della più prestigiosa compagnia teatrale shakespeariana d’Inghilterra, arena di puristi indefessi schierati a testuggine in difesa del First Folio contro tutte le successive contaminazioni. Terence stesso, insieme a Robert Hathaway, aveva spesso in passato combattuto vere battaglie contro alcuni sedicenti registi, autori di versioni riarrangiate delle opere di Shakespeare, semplicemente inaccettabili dal punto di vista di chiunque avesse dedicato la vita all’opera del grande drammaturgo.
    - Spero di riuscire a vederti recitare, figliolo. È un mio grande desiderio.
    - Succederà, padre, ne sarei molto orgoglioso! – rispose Terence con sincerità – Adesso riposate, ve ne prego, non vorrei che il vostro cuore affaticato tornasse a rintanarsi in qualche oscuro recesso da dove sarà nuovamente impossibile cogliere qualche segno della sua presenza…
    Il duca sorrise e Terence proseguì:
    - Ci rivedremo domani e magari potrei cominciare col leggervi qualcosa dalla nostra biblioteca…
    - Sarebbe splendido, figliolo. Terry… grazie!
    Quel ringraziamento, Terence lo capì, non era relativo all’offerta di leggere per lui. Il padre era grato per la seconda occasione che il figlio e la vita gli avevano concesso.
    Con un ultimo sguardo all’uomo, che aveva già chiuso gli occhi, Terence si voltò e lasciò la camera, sentendosi, come mai prima di allora al cospetto del padre, un uomo, e non più un ragazzo pieno di rabbia incontrollabile e autodistruttiva.

    [continua]



    n.d.a. Ringrazio fin d'ora tutti coloro che vorranno lasciare un commento o un pensiero su questa Fan Fiction: i vostri feedback sono preziosi. Il topic dove lasciare eventuali commenti è ->QUI<-
     
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