Gli Smeraldi e lo Zaffiro

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  1. Cerchi di Fuoco
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    "Se fuggire fosse una soluzione, io sarei fuggito da te già da tanto tempo"

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    Un brivido che non aveva niente a che vedere con il freddo intenso percorse tutto il corpo di Terence, quando scese dalla vettura davanti all’ingresso principale del St. Jacob’s Hospital. In un lampo si sentì riportare indietro di tre anni, alla notte in cui aveva chinato il capo al destino e perso tutto. Lo sguardo, senza che gli sembrasse di averlo guidato consapevolmente, si sollevò lentamente verso la terrazza che occupava per intero il tetto dell’edificio. La prospettiva e l’altezza gli impedivano di scorgerla, eccezion fatta per una piccola porzione di ringhiera e per il fumo che si levava dai comignoli sullo sfondo del plumbeo cielo autunnale, ma la sua mente era lassù, e poteva agevolmente contare uno per uno i milioni di piccoli frammenti di cuore sparsi da allora su quel pavimento. Mancava solo la neve perché il dejavù fosse completo, concluse con un brivido prima di distogliere lo sguardo e correre insieme a Matt e a Robert all’interno.
    Grazie al cielo il destino, di solito così beffardo nei suoi confronti, si era fatto sfuggire una ghiotta occasione di infierire sulla sua anima provata, poiché la stanza in cui era stata ricoverata Susanna stavolta si trovava in un’ala dell’ospedale differente da quella notte, cosicché Terence riuscì ad allentare in parte la tensione che lo attanagliava al pensiero di salire per quelle scale.
    Dopo aver seguito Matt per corridoi e atri, la stanza dove era ricoverata Susanna gli venne annunciata dall'eco dello sgradevole suono dei singhiozzi della signora Marlowe.
    - No… No… NOOOO!!!!
    Terence sospirò e si avviò in quella direzione, chiedendosi, non per la prima volta, quanto del suo fardello fosse stato aggravato dall’aver consentito a quella donna di ascendere a un posto tanto invadente nella sua vita. Dalla notte fatale in cui si era legato a Susanna, si era infatti consegnato anche a sua madre.
    Al ritorno di Terence da Rocktown era stato proprio su pressione della signora Marlowe che la figlia gli aveva posto quell’ultimatum: se non voleva decidersi a sposarla, quanto meno avrebbero dovuto andare a vivere insieme. Glielo doveva, in cambio delle pene dell’inferno che aveva passato in quegli ultimi mesi, a causa della sua scomparsa!
    Anche se sui giornali Susanna si era sempre mostrata ottimista e serena riguardo al ritorno di Terence, recitando la parte della fidanzata fiduciosa, dentro di lei il terrore dell’abbandono aveva scavato ferite profonde, che poi gli erano state quasi orgogliosamente esibite, insieme a tutto il desiderio di rivalsa fomentato dalla madre. Guardandolo con occhi pieni parimenti di rabbia e frustrazione gli aveva urlato:
    - Non vuoi amarmi, Terence? Non PUOI amarmi? Questo lo so e l'ho accettato molto tempo fa! Ci sto male, certo, non sai quanto. Ma non pensare che faccia la minima differenza, per me!
    Dio! Come faceva Susanna a rivoltare la questione in un modo tanto enorme? Si sentiva veramente la vittima di quel dramma? L’unica vittima? Terence non era mai riuscito a decidere se fosse effettivamente così, o se invece si trattasse solo dell’ultima interpretazione di quella dotata ex-promessa dei palcoscenici di Broadway.
    Comunque non aveva importanza: aveva ceduto. Che cosa contava in fondo? Aveva già abdicato alla sua vita, cosa poteva significare rinunciare a quella piccola porzione d’inutilizzabile libertà costituita dal suo appartamento?
    E così, mentre Susanna si trasferiva da lui, la signora Marlowe aveva chiuso la seconda parte di quella manovra a tenaglia, cominciando a premere per le nozze, giacché a suo dire Terence e sua figlia “vivevano già nel peccato”.
    Ma quello era stato un passo sul quale Terence si era mostrato inflessibile, forse per la prima volta dall’inizio di quell’assurda tragedia. Non che gli importasse qualcosa di pronunciare i voti nuziali, non essendo mai stato particolarmente arso dal fuoco della religione. D’altra parte sentiva di aver già assunto l’impegno di restare accanto a Susanna e prendersi cura di lei di fronte al più implacabile giudice della sua condotta, un giudice dagli occhi verdi che mai e per nessun motivo al mondo avrebbe deluso. Il vincolo matrimoniale non avrebbe aggiunto nulla, né tolto nulla, alla sacralità del giuramento fatto su quelle scale.
    No, il vero motivo era che, per quanto fosse diventato particolarmente abile nel recitare il suo copione quotidiano, sapeva che non sarebbe mai riuscito a costringere le sue labbra a pronunciare una promessa d’amore dedicandola a chiunque non fosse la sua dolce ragazza, il suo ricordo di felicità, la sua vera vita, contrapposta al patetico canovaccio che interpretava ogni giorno.
    E così era andato avanti giorno dopo giorno in quella convivenza fredda e artefatta.
    Lui e Susanna erano due anime che la vicinanza e la coabitazione in uno spazio limitato aveva allontanato, anziché unito, come sempre avviene a coloro che non si sono scelti a vicenda e con pari sentimento. L’unico spazio inviolabile che quella nuova regina della sua casa, oltre che della sua esistenza, non era mai riuscita a conquistare era il suo studio. Il suo rifugio.
    - Terence! Sei qui finalmente! Susanna… Susanna è… – Terence seguì con sguardo inorridito la Signora Marlowe prendere lo slancio per gettarsi tra le sue braccia, ma per fortuna Robert fu più rapido ed evitò il peggio, scattando per intercettarne il movimento e accompagnarla delicatamente su una delle poltrone del corridoio riservate ai visitatori.
    La donna si lasciò docilmente condurre e, secondo il suo costume, iniziò a piangere e singhiozzare rumorosamente con le mani sul volto, del tutto incapace di governare le proprie emozioni. Terence la ignorò e si volse verso la coppia di dottori che stavano parlando con la madre di Susanna quando lui e Robert erano arrivati.
    Uno dei due gli era noto: dimostrava una quarantina d’anni e i suoi capelli rossi tradivano una chiara origine irlandese. Si trattava dello psichiatra che aveva in cura Susanna fin dall’incidente alla gamba. L’altro invece, che sembrava avere in mano le redini della situazione, era un distinto e avvenente signore sulla cinquantina, bruno con degli occhiali dalla spessa montatura scura, che emanava forte autorevolezza.
    Terence si rivolse a quest’ultimo:
    - Buonasera, dottore. Sono il fidanzato di Miss Marlowe. Può dirmi cosa è accaduto?
    - Buonasera, Mr. Graham. Sono il dottor Frank, primario di medicina generale – il dottor Frank, porse la mano a Terence, provando un istintivo apprezzamento per quell’uomo dai lineamenti aristocratici, così giovane eppure così dignitoso - Mr. Graham, sarò sincero con lei. La situazione è molto seria e il quadro clinico gravemente compromesso.
    - Dottore, io non capisco. Susanna stava bene ultimamente. Nelle ultime settimane aveva anche presenziato a delle rappresentazioni delle sue opere… – Terence si interruppe.
    Ebbe un breve flash della prima de La principessa sbagliata, la commedia sceneggiata da Susanna che aveva avuto un grande successo nell’ultima stagione teatrale ed alla quale lui, per la prima volta, si era rifiutato categoricamente di accompagnarla, dopo uno dei loro rari veri litigi. Adesso visualizzava Susanna uscire da casa per recarsi al teatro New Amsterdam di Broadway, mentre lui la osservava dalla penombra dello studio, avvolto nella sua nuvola di fumo. Lei indossava abiti estivi… sì, era giugno, quasi sei mesi prima. E da allora lui era stato talmente preso dalle prove e dalle rappresentazioni dell’Amleto, che il tempo era passato senza che quasi se ne fosse accorto, tra le prove in teatro e le sue notti solitarie.
    Che cosa era accaduto a Susanna in tutti quei mesi? L’aveva salutata ogni mattina con l’unico casto bacio sulla guancia che si sforzava di regalarle ogni giorno; era rientrato ogni sera dal teatro, trovandola immancabilmente sorridente allo scrittoio della sua stanza, intenta a leggere o scrivere in una solitudine da cui aveva saputo far scaturire un testo teatrale di successo. Si era sforzato di consumare i pasti con lei e l’accompagnava diligentemente alle visite di controllo prescritte. Ma non c’era e non c’era mai stata alcuna reale intimità tra loro, nessuna condivisione. Il tempo trascorreva in una routine di fredda cordialità, nella quale Terence provava a narcotizzare la sua rabbia fino al momento di chiudersi dentro il suo studio, accingendosi a fronteggiare l’ennesima tormentata veglia.
    Quindi con quale cognizione di causa poteva affermare che tutto stesse andando bene negli ultimi tempi? Probabilmente la sua governante, Mrs. Greppi, ne sapeva di più e di certo era stata più attivamente presente nella vita di Susanna di quanto non avesse fatto lui.
    - Miss Marlowe ha attraversato un periodo di grave depressione negli ultimi mesi, Mr. Graham. Il mio collega dottor Collins che, come sa, l’ha assistita negi ultimi mesi da un punto di vista psichiatrico, potrà spiegarle come si è arrivati alla crisi odierna...
    Il giovane medico dai capelli rossi intervenne con voce più grave di quanto si sarebbe potuto presumere dall’aspetto e dall’età:
    - Per farle meglio comprendere l’accaduto, Mr Graham, è necessaria una breve premessa. Ha a che fare con i cinque stadi nel doloroso processo attraversato da tutte le vittime di traumi gravi quali quello subito dalla sua fidanzata: rifiuto, contrattazione, rabbia, depressione e accettazione. Di solito i pazienti passano dall’una all’altra di queste fasi in un periodo variabile tra alcune settimane e alcuni mesi. Miss Marlowe, invece, non solo non ha mai elaborato l’accettazione di quanto accaduto, ma si è bloccata in un limbo tra rabbia e depressione. E questo blocco, purtroppo, come emerso in maniera piuttosto evidente nei miei ultimi colloqui con Miss Marlowe, sembra essere collegata proprio a lei, Mr. Graham, o meglio al modo in cui la sua fidanzata ha interpretato il proprio ruolo nell’interazione tra voi.
    Terence sgranò gli occhi. il dottor Collins gli aveva già esposto la teoria dei cinque stadi; ma era la prima volta che il medico faceva cenno con lui ad un collegamento tra il trauma dell’amputazione di Susanna e il suo comportamento.
    Il giovane dottore scambiò un veloce sguardo con il più maturo collega, prima di proseguire:
    - Ciò che sto per rivelarle, Mr. Graham, è oggetto del segreto professionale che mi lega alla mia paziente. In questi anni ho lavorato molto con Miss Marlowe per arrivare alla radice dei suoi problemi di accettazione di se stessa e della propria condizione.
    Terence annuì, non sapendo esattamente quale rivelazione aspettarsi, e il medico proseguì:
    - Miss Marlowe ha sviluppato negli anni – e qui Collins lanciò uno sguardo fugace alla signora Marlowe, ancora accasciata sulla poltroncina e in preda a singhiozzi inconsolabili – una forma di mancanza di autostima e dipendenza dal giudizio altrui, parzialmente sfumate nel periodo in cui ha cominciato a calcare le scene. Quando la sua fidanzata l’ha conosciuta e ha cominciato a nutrire dei sentimenti per lei, Mr. Graham, le sue insicurezze sono però tornate alla luce con forza.
    Terence capì: grazie al lavoro e all’appena conquistata autonomia e fiducia in se stessa che veniva dall’affermazione sul palcoscenico, Susanna stava cominciando a liberarsi dalla reciproca dipendenza tra lei e sua madre.
    - Lei deve capire, Mr. Graham – riprese il dottor Collins, allontanandosi con discrezione di qualche passo con Terence e il dottor Frank verso la balaustra - che quando Miss Marlowe l’ha conosciuta, i suoi meccanismi emotivi non erano quelli di una donna di vent’anni, ma a malapena quelli di un’adolescente.
    Il dottor Collins s’interruppe cercando i termini più idonei a descrivere i disturbi clinici di cui soffriva Susanna, rendendoli comprensibili a Terence:
    – La personalità ossessivamente protettiva della madre ha inibito un corretto e sano sviluppo di quella indipendenza di giudizio che Miss Marlowe avrebbe dovuto raggiungere nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. In breve, quando sono arrivate la notorietà e l’indipendenza economica, Miss Marlowe semplicemente non era pronta, avendo completamente saltato una fase del proprio sviluppo emotivo. Dal punto di vista affettivo ed emotivo, è con una ragazza di tredici o quattordici anni che lei si è trovato a relazionarsi, Mr. Graham.
    Lo sguardo di Terence era attento e acceso di una fiamma color cobalto mentre assorbiva avidamente quelle informazioni. Era come se si stesse aprendo uno squarcio nelle eleganti quinte damascate di un palcoscenico, rivelando il multiforme e spaventoso caos che vi regnava dietro.
    - Miss Marlowe ha cominciato a nutrire per lei dei sentimenti nuovi e per i quali non era pronta. Come una bambina, li ha gestiti nel peggiore dei modi: replicando l’unica forma di amore che conoscesse, la dipendenza nutrita dal senso di colpa che aveva caratterizzato il rapporto con la madre. Il fatto che lei, Mr Graham, non interpretasse il ruolo che Miss Marlowe le aveva assegnato nel proprio schema mentale ne ha messo a nudo le fragilità, e ha provocato reazioni incontrollate dal punto di vista psicologico.
    Si stava a poco a poco sollevando una cortina fumogena e Terence si rese conto che la storia sua e di Susanna, purtroppo drammaticamente marchiata a fuoco nella sua mente in ogni più doloroso e frustrante dettaglio, stava acquisendo adesso dei contorni più netti e dei colori più vividi.
    Sotto questa nuova luce, anche il rifiuto manifestato da Susanna di fronte all’evidenza del suo amore per un’altra donna assumeva una chiara connotazione, e si spiegava anche il comportamento profondamente infantile che l’aveva spinta a nascondere la lettera che Candy gli aveva spedito ai tempi delle prove di Romeo e Giulietta, salvo poi restituirgliela tra le lacrime. Proprio come una bambina che non fosse riuscita a sopportare il peso delle proprie azioni.
    Susanna stava male fin da allora, stava male da sempre.
    Terence guardò la donna sulla poltrona a pochi passi da lui, che adesso piangeva calde lacrime di disperazione per la sorte della sua bambina. La donna che proprio a causa del suo modo distorto di darle presunto amore era rimasta congelata in uno stadio infantile, insicura e dipendente dagli altri. Quella era stata l’eredità della signora Marlowe alla figlia: un amore malato.
    - Anche quando mi ha salvato la vita… - mormorò Terence, la cui voce però si spezzò prima che potesse completare l’espressione del suo pensiero.
    Il dottor Collins lo guardò con comprensione e annuì.
    Comprendeva il processo di rielaborazione del proprio vissuto che Terence stava affrontando. Un processo che avrebbe avuto bisogno di mesi di analisi e che invece, per forza di cose, quel ragazzo era costretto ad affrontare nell’arco di pochi minuti.
    - Susanna si è lanciata generosamente per salvarle la vita, Mr. Graham, con lo stesso slancio coraggioso e incosciente di un bambino che stia per perdere l’oggetto del proprio desiderio – il medico scelse parole volutamente implacabili: era necessario che Terence capisse – ma al risveglio non è stata capace di affrontare da adulta le conseguenze di quel gesto.
    Sì, Terence ricordava perfettamente quei giorni maledetti tra le stesse mura in cui adesso si trovavano. Ricordava i continui sbalzi emotivi di Susanna e l’egoismo con il quale gli aveva rinfacciato ciò che aveva fatto per lui salvandogli la vita, lasciando fluttuare nell’aria la logica conseguenza: “La tua vita è mia, adesso”. E rammentava anche i suoi blandi slanci di generosità durante i quali, singhiozzando, gli diceva di andare da lei. Non era una reazione alla perdita che aveva subito e alla paura di restare sola. Era il conflitto tra Susanna bambina e Susanna donna, tra la rabbia e la depressione, che si stava combattendo in quei momenti, e che avrebbe condannato tutti loro a indescrivibili sofferenze.
    - Questo stesso meccanismo – riprese il dottor Collins, in un virtuale collegamento alle amare riflessioni di Terence, che adesso stentava a soffocare un tremito, come ogni volta che rievocava quella notte – ha continuato a riproporsi negli anni a venire, senza soluzione di continuità, nonostante tutti i miei tentativi di scardinarlo. L’unico successo che ero riuscito ad ottenere con lei finora, era stato di convogliare le energie dei suoi periodi di rabbia in un’attività costruttiva come la scrittura… con i risultati che conosciamo.
    La voce del dottor Collins si spense con un accento tra il rassegnato e l’orgoglioso.
    Da quando aveva abbandonato le scene, Susanna aveva scritto due opere teatrali e la seconda, La principessa sbagliata, era tuttora rappresentata con ottimo successo di pubblico e di critica a Broadway. Terence singhiozzò per la tristezza: chissà cosa sarebbe potuta diventare quella donna di talento se la sua distorta visione della vita e dell’amore, e il destino che era piombato sulle loro vite assumendo la forma di un riflettore che precipitava, non l’avessero destinata a quel ruolo sbagliato in un copione destinato ad altri interpreti.
    E lui aveva fallito. Aveva fallito miseramente nel solenne giuramento che aveva fatto quella notte. Non solo non era stato capace di essere felice, svuotandosi completamente di ogni scintilla di gioia su quelle dannate scale a pochi passi da lì, ma non era stato capace neanche di assolvere al secondo compito che il suo giudice e carnefice dagli occhi di smeraldo gli aveva assegnato: rendere felice Susanna. In quegli anni si era sbrigativamente autoassolto, ritenendo che la semplice presenza al suo fianco sarebbe stata sufficiente a espletare quella parte del patto. Che la rinuncia alla propria vita, per stare con Susanna, fosse quanto gli veniva richiesto. Ma no! Solo ora, attraverso lo squarcio aperto dal dottor Collins, la verità lo travolgeva. Che perfetto incastro di sofferenze il fato aveva servito loro nella sua drammatica ineluttabilità! Neanche il suo venerato Bardo avrebbe saputo fare di meglio nel più tragico dei suoi intrecci.
    C’era però qualcosa che strideva in tutto ciò che aveva appena appreso: il comportamento che gli aveva descritto il dottor Collins era qualcosa di ormai cronicizzato, non spiegava la crisi che aveva necessitato il ricovero di Susanna quella notte.
    - È per questo che Susanna è stata ricoverata stasera, dottor Collins? Ha avuto una crisi depressiva?
    - No, Mr. Graham. La depressione non è la causa del ricovero di Miss Marlowe di questa sera – intervenne il dottor Frank, facendo un passo avanti e intervenendo per la prima volta in quella dolorosa conversazione – o almeno non direttamente.
    Terence si voltò verso di lui in attesa, mentre una gelida premonizione lo invadeva.
    - Mr. Graham, Miss Marlowe sta morendo.

    Terence si passò una mano tra i capelli, incredulo, e attese che il medico proseguisse.
    - Mr. Graham, era a conoscenza che da alcune settimane Miss Marlowe aveva contratto una infezione all’arto amputato?
    Terence sgranò gli occhi e si appoggiò con una mano alla ringhiera. Le rivelazioni sulla donna con la quale aveva vissuto negli ultimi anni lo stavano sopraffacendo.
    - Come immaginavo. Il che conferma la mia teoria. Infezioni lievi sono piuttosto usuali in soggetti che fanno uso di protesi ortopediche. Riconoscendole per tempo, solitamente possono essere debellate con una certa facilità tramite lavaggi depurativi o, nei casi più gravi, con piccoli interventi chirurgici. Il problema è che Miss Marlowe non ha parlato con nessuno dei sintomi che accusava. Febbre, battito cardiaco accelerato, dolore all’arto… deve aver avuto alcuni o tutti questi sintomi, in un quadro clinico e immunitario già compromesso dalle sue condizioni. Ma non ne ha parlato con nessuno: né con il dottor Collins, né con sua madre. Né, devo dedurre, con lei.
    Il dottor Frank s’interruppe, per dare il tempo a Terence di assimilare questo nuovo colpo. Il medico provava una profonda pena per quel ragazzo che sembrava portare sulle spalle, e mostrare attraverso quegli eccezionali occhi blu, un dolore senza fine.
    - Non essendo intervenuti per tempo, la situazione è degenerata: negli ultimi giorni Miss Marlowe deve aver sofferto molto, dato lo stato in cui si trova. Purtroppo, Mr. Graham, l’infezione è ormai degenerata in una forma grave di setticemia.
    “Susanna! Oh Susanna, che cosa hai fatto?”
    Il dottor Frank lo mise a parte di come Mrs. Greppi avesse trovato Susanna priva di sensi nella sua stanza, quando quella sera era andata a servirle la cena. Era stata lei stessa a chiamare prontamente la signora Marlowe e l’ambulanza che le aveva condotte fin lì.
    Terence cercò di riacquisire la lucidità necessaria per porre la domanda che gli esplodeva dentro:
    - Dottor Frank, mi sta dicendo che Susanna ha deciso consapevolmente di non curarsi nell’intento di togliersi la vita?
    A Terence sembrava che il mondo gli crollasse addosso. Quanta sofferenza poteva sopportare un uomo in una sola vita?
    - No, Mr. Graham – il dottor Collins intervenne con decisione – è proprio questo il motivo per cui le ho fatto quella lunga premessa sul quadro psichiatrico di Miss Marlowe.
    Terence si voltò verso il medico irlandese, come un naufrago in cerca di un appiglio in un mare torbido dal quale si sentiva risucchiare.
    - Ho motivo di credere, Mr. Graham, che la sua fidanzata aspettasse, deperendo consapevolmente giorno dopo giorno, di attirare la sua attenzione su di sé, che lei si accorgesse che c’era qualcosa che non andava. Sia pure senza mai chiederlo direttamente, cercava un modo per costringerla a occuparsi di lei.
    E lui non si era accorto di niente. Terence si passò di nuovo le mani tra i capelli. Era stato cieco? Sordo? Eppure ogni giorno l’aveva guardata negli occhi, chiedendole come stava, ricevendone in cambio un pallido sorriso e un cenno d’assenso.
    “Quale perverso meccanismo si era attivato nella tua mente, Susanna? Mi hai ingannato, hai ingannato te stessa… Ti sei resa conto dell’enormità di quello che stavi facendo?”
    - Cosa… cosa dobbiamo aspettarci adesso, dottore?
    - Molto poco, purtroppo, figliolo. Solo che la sepsi termini la sua opera. E non ci vorrà molto. Temo poche ore.
    La compassione negli occhi del dottor Frank trovò espressione in quel “figliolo” con il quale si era rivolto a lui per la prima volta.
    - Non si torturi. Il dottor Collins stesso, che non esito a definire come il più qualificato ed esperto psichiatra di New York, non è stato in grado di cogliere i sintomi di quanto Miss Marlowe stava mettendo in atto in queste settimane. Lei non avrebbe potuto far nulla. Nella propria visione purtroppo distorta della realtà, la sua fidanzata ha armato inconsapevolmente contro di sé un’arma a orologeria di cui nessuno avrebbe potuto bloccare il meccanismo se non lei stessa, che però ne ha sottovalutato la portata.
    Terence lo fissò con gratitudine, cercando in qualche modo di tenersi a galla nel mare di sensazioni che rischiavano di travolgerlo, e che tuttavia non ne scalfivano l’immagine di dignità con la quale stava affrontando quelle drammatiche rivelazioni.
    - Posso vederla, dottore?
    Cosa le avrebbe detto? E, soprattutto, sarebbe riuscito a controllare la rabbia che a poco a poco si stava facendo strada attraverso la tristezza che lo attanagliava al pensiero di tutto il male che Susanna aveva fatto agli altri ed a se stessa?
    - Certo, anzi… credo sia opportuno non perdere altro tempo. Non so ancora per quanto Miss Marlowe sarà cosciente: siamo riusciti a farla rinvenire, ma…
    Terence trasse un profondo respiro per provare a stabilizzare le proprie emozioni e si avviò verso la stanza di Susanna. Passò davanti alla signora Marlowe e a Robert. A quest’ultimo lanciò uno sguardo talmente traboccante di rassegnazione e malinconia che l’uomo sussultò sulla sedia, come se fosse stato colpito fisicamente dal dolore di quel ragazzo che amava tanto.
    Lo sguardo che corse tra il giovane e la Signora Marlowe conteneva invece tutto il non detto di quegli anni: il disprezzo per ciò che lei aveva fatto alla figlia che sosteneva di amare; la rabbia per aver fatto leva sui suoi sensi di colpa in un momento in cui lui non aveva la lucidità necessaria per opporsi a quei meschini attacchi; persino la pena per il peso che quella donna avrebbe dovuto portare per il resto dei suoi giorni.
    Negli occhi di lei non c’erano suppliche, né comprensione, né accuse. Solo paura. Una piccola donna di fronte a qualcosa di troppo grande per lei.
    Sapeva.
    Se non avesse capito che il peso di quanto si stava compiendo ricadeva in gran parte sulle sue scelte malate, si sarebbe scagliata contro di lui con tutta la forza di una madre. Ma lei sapeva, e Terence si domandò fugacemente come avrebbe fatto quella donna a convivere per il resto della vita con il rimorso per ciò che aveva fatto.
    La superò senza dire una parola, giunse alla porta della camera di Susanna, abbassò la maniglia ed entrò.

    La stanza era avvolta nella penombra. Era ormai notte fonda e l’unica fonte di luce era un lume a gas posato sull’unico tavolo che, insieme a una semplice cassettiera, alla sedia posizionata accanto al letto e a un piccolo armadio sulla parete di fronte, costituiva tutto l’arredamento della stanza. Ogni cosa era di un candore eccessivo, reso addirittura inquietante dalla luce soffusa: il legno del tavolo e della sedia, le tende alla finestra e la biancheria del letto su cui giaceva Susanna, il volto e le labbra della quale avevano lo stesso colore del cuscino su cui era adagiata. Sulla coperta le braccia sottili erano stese lungo il corpo. I capelli erano raccolti in due lunghe code che le scendevano lungo le spalle e aveva sulla fronte una pezzuola bagnata. Gli occhi erano chiusi e, dal magma di emozioni in movimento che ribolliva dentro di lui da quando aveva parlato con i due medici, a Terence sembrò di sentire emergere una profonda tristezza e compassione.
    Davanti a lui c’era la donna che gli aveva distrutto la vita e ogni speranza di felicità a causa della propria distorta e autoreferenziale idea dell’amore. Ma c’era anche la donna che gli aveva salvato la vita. C’era la donna che lo aveva legato a sé con la forza del senso di colpa e facendo leva sulla sua ancestrale e atavica idea dell’onore. E tuttavia, non era forse giusto riconoscere che Susanna aveva egoisticamente approfittato di scelte che in ultima analisi erano state fatte da lui? Chi era, alla resa dei conti, il colpevole principale di quelle sofferenze? Negli ultimi tre anni Terence aveva altalenato attraverso tutte le sfumature di quel conflitto interiore, ed ora sentiva solo una grande stanchezza.
    Susanna aprì gli occhi ed egli si sforzò di rivolgerle un sorriso triste. Da quanto tempo non le sorrideva? No, la domanda era: le aveva mai sorriso veramente?
    - Terence…
    - Susanna… non parlare, riposati – Terence si sedette accanto al letto e le prese la mano.
    - Terence, sei venuto!
    La sorpresa e la gioia che persino in quel momento trapelavano dalla voce flebile e stanca della ragazza strinsero il cuore di Terence. Che enorme ingiustizia e che spreco d’amore!
    Amore?
    - Certo che sono venuto. Susanna… avresti dovuto… avresti dovuto parlarmene. Avresti dovuto chiedere aiuto – Terence si lasciò sfuggire quelle parole e immediatamente se ne pentì.
    Che senso aveva adesso metterla di fronte alle scelte che la stavano uccidendo in quel momento sotto i suoi occhi? O all’enormità di ciò che aveva fatto? Probabilmente lei non aveva neanche gli strumenti per affrontarlo, figurarsi per elaborarlo, soprattutto al punto in cui erano arrivati. E quindi immediatamente le chiese:
    - Susanna, senti dolore?
    - No, Terence, non più. Ho sofferto tanto, ma ora non più – e Terence non fu certo che lei si riferisse al dolore fisico dell’infezione che la stava divorando dall’interno o ad altro.
    - Terence… io sto morendo, non è vero?
    Terence sgranò gli occhi. Poteva mentirle? Doveva mentirle?
    La guardò con i suoi profondi occhi blu, le iridi di lei erano già velate.
    - Susanna, andrà tutto bene – fu tutto ciò che riuscì a sussurrarle.
    - Terence io… non voglio morire… aiutami…
    Terence le strinse la mano più forte.
    Ecco chi era la donna che aveva di fronte: Susanna che si lanciava sotto un riflettore per salvare la vita all’uomo che desiderava con tutta se stessa, per poi non esitare a distruggerne la felicità, esigendone giorno dopo giorno il sacrificio. Susanna che si palesava al mondo fiduciosa e serena nei mesi del crollo emotivo del suo uomo, mentre progettava di chiederne in cambio un prezzo. Susanna autrice teatrale e Susanna che non aveva mai più voluto mostrarsi in pubblico senza Terence al suo fianco. Susanna donna depressa e bambina arrabbiata. Susanna che accoglieva ogni giorno sorridente il suo uomo indifferente e nel frattempo pianificava la propria morte, aspettando che lui la salvasse. Susanna che di fronte alle conseguenze delle sue azioni chiedeva aiuto troppo tardi per porvi rimedio.
    Susanna vittima.
    Susanna carnefice.
    Susanna che adesso stava morendo.
    - Susanna, sono qui con te. Cerca di stare tranquilla.
    Era incredibile come i suoi occhi si stessero spegnendo minuto dopo minuto. Terence si sentiva inerme.
    - Terence, non ti ho mai chiesto nulla…
    Oh mio Dio! Susanna! Possibile che la sua non accettazione della realtà arrivasse fino a quel punto? Davvero non si rendeva conto di cosa aveva causato? Terence dovette sforzarsi di tenere a mente le parole del dottor Collins per non farsi sopraffare di nuovo dalla rabbia, sia pure in quel momento doloroso.
    - Ti prego… - continuò lei – ti prego, rispetta la mia memoria!
    Terence la fissò. Che cosa stava cercando di chiedergli? Possibile… possibile che fosse il suo contorto modo, persino in quel momento supremo, per tenerlo lontano da lei?
    - Lo farò, Susanna.
    Non sapeva neanche lui che impegno stava assumendosi in quel momento. Ci avrebbe riflettuto in seguito. Adesso contava accompagnare il più serenamente possibile Susanna verso ciò che la attendeva, e cercare di trovare un modo per convivere di lì in avanti con il senso di colpa per non essersi reso conto di ciò che lei stava attuando ai danni di se stessa.
    Susanna sorrise e chiuse gli occhi.
    - Ti amo, Terence. Ti ho sempre amato.
    - Lo so, Susanna. Adesso cerca di riposare, io sto qui vicino a te.
    Chissà se l’ultimo pensiero di quella tragica figura prima di abbandonarsi al sonno fu la consapevolezza di non aver mai udito Terence rivolgerle le tanto sospirate parole: “ti amo”. Del resto, dopo la dichiarazione che lei stessa gli aveva fatto sul palcoscenico del teatro Stratford prima dell’incidente, prima del resto della loro vita, neanche lei aveva più trovato il coraggio di ripeterle, quelle cruciali parole. Da qualche parte, in qualche remoto meandro della propria mente doveva rendersi conto di cosa aveva provocato. Ma semplicemente la sua parte bambina aveva scelto di rimuoverlo.
    Terence rimase vicino a lei ancora per un po’ e, quando fu certo che non si sarebbe risvegliata, uscì delicatamente dalla stanza, cedendo il suo posto alla signora Marlowe.
    Susanna morì tre ore dopo, senza più riprendere conoscenza.
    Susanna, l’ultima vittima del suo amore malato.

    La nera sorte di questo giorno
    peserà su molti giorni ancora;
    questo non è che il principio delle sventure.
    Altre le porteranno a termine.*



    [continua]



    * Romeo e Giulietta, Atto III, Scena I.




    n.d.a. Ringrazio fin d'ora tutti coloro che vorranno lasciare un commento o un pensiero su questa Fan Fiction: i vostri feedback sono preziosi. Il topic dove lasciare eventuali commenti è->QUI<-

    Edited by Cerchi di Fuoco - 11/9/2020, 12:34
     
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